L'altare della pace di Augusto
A pochi passi dalla tomba di Augusto vi è uno straordinario tributo in marmo al governo del principe. E' l'Altare della Pace, o, per usare il suo nome completo e anche molto significativo, l'Altare della Pace di Augusto (Ara Pacìs Augustae).
Presi insieme, tomba e altare formano una sorta di compendio archeologico della vita e dei tempi di Augusto, anche se originariamente, come vedremo tra breve, l'altare non si trovava in prossimità della tomba.
"Quando ritornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia dopo le mie vittorie in quelle province, il Senato decretò che un altare alla Pace di Augusto venisse consacrato nel Campo Marzio a celebrazione del mio ritorno".
Così Augusto nel "testamento politico' affisso fuori del mausoleo. Ma l'Ara Pacis Augustae è qualcosa di più di un semplice altare commemorativo. In contrasto con la tomba, che evoca l'amara disfatta delle ambizioni dinastiche di Augusto, l'ara la grandezza dei suoi successi e le grandi speranze per il futuro. Il suo elemento più impressionante è un grande corteo scolpito in marmo, un fregio in cui Augusto è rappresentato insieme ai suoi intimi all'apice del successo.
Come ha osservato lo storico D.R. Dudley, «siamo allo zenit del principato augusteo e Augusto è con la sua famiglia, i suoi amici, i suoi collaboratori e i suoi bambini. La morte di Marcello è stata fino a questo punto la sua sola perdita personale; la morte non ha toccato nessun altro della sua cerchia, né lo scandalo sua figlia Giulia. Per la successione sembrano esistere numerosi candidati; chi poteva pensare che sarebbe toccata a un uomo a lui così poco congeniale come Tiberio?».
Nel fregio, personaggi dall'aspetto solenne sembrano profondamente consci delle loro tremende responsabilità. Distinte signore chiacchierano tra loro mentre i loro bimbi, chi più chi meno intimidito dalla grande cerimonia a cui sta partecipando, si aggrappano agli abiti dei grandi. Un meno pretensioso e un più umano ed espressivo monumento ufficiale è difficile da immaginare. L'arte è superba, la migliore che quest'età aurea della scultura romana avesse da offrire.
Egualmente affascinanti sono le raffigurazioni della pace, della prosperità e dell'attaccamento alle grandi tradizioni dì Roma su altri pannelli marmorei dell'ara. La storia archeologica del monumento è unica. Esso fu trovato in un luogo del tutto diverso, distante mezzo chilometro dall'attuale, in pezzi, immerso in infiltrazioni d'acqua a sette metri di profondità.
I primi frammenti emersero nel 1568 presso le fondazioni di un palazzo sui margini del Corso. Tutti li ammirarono ma nessuno sospettò un rapporto con la favoleggiata Ara di Augusto, nonostante il fatto che nel suo "testamento politico" Augusto stesso avesse specificato che l'altare celebrava il suo ritorno dal Nord, ciò che implicava un'ubicazione sugli approcci settentrionali della città e dunque lungo il Corso (il tratto urbano dell'antica via Flaminia). Molti dei frammenti furono all'epoca acquistati da collezionisti, tra cui la nobile famiglia fiorentina dei Medici. In seguito essi si dispersero tra vari musei italiani, i musei vaticani, un museo di Vienna e il Louvre.
Durante l'Ottocento nuove rovine vennero trovate nelle fondazioni del vecchio palazzo, e nella seconda metà del secolo esse vennero per la prima volta identificate, da archeologi tedeschi, come parte dell'ara. Una prima ed essenzialmente corretta ricostruzione ideale del monumento ne venne tracciata. Si tentò di aumentare i ritrovamenti con scavi sistematici, ma questi venivano impediti dalle infiltrazioni d'acqua. Gli sforzi, che includevano la costruzione di tunnel sotto vari edifici, vennero intensificati nel 1903, quando furono trovati altri frammenti; ma i lavori vennero nuovamente bloccati dalle infiltrazioni.
Nel 1937 ingegneri italiani inventarono un nuovo sistema per fermare l'acqua (che poi ha avuto numerose applicazioni in altre parti del mondo). Essi congelarono l'intero scantinato del palazzo per mezzo di tubazioni refrigeranti, permettendo in questo modo l'estrazione di tutti i frammenti residui. Fu presa allora la decisione di ricostruire l'intero monumento in un luogo diverso, non essendo possibile rimetterlo in piedi sotto il vecchio palazzo, e venne scelto il sito attuale.
Qui tutti i pezzi in mani italiane, inclusi quelli spersi tra i musei italiani, vennero rimessi insieme. Papa Pio XII donò i pezzi in possesso del Vaticano allo Stato italiano, il museo viennese gli vendette i propri. Alla fine, erano mancanti soltanto i pezzi in mano francese, di cui una parte al Louvre, l'altra incastonata nelle mura della Villa Medici a Roma. Essi furono sostituiti con calchi, nella speranza che un giorno la Francia segua l'esempio dato dagli altri e permetta una ricostruzione totalmente autentica.